mercoledì 20 novembre 2013

Prima Parte (intervista a Berardi): Fanzine Popular Press n.1 del 1984


Il termine inglese fanzine nasce dalla contrazione delle parole fan (da fanatic, appassionato) e magazine (rivista), traducibile come rivista amatoriale. Negli anni ’70 e ’80 le fanzine spopolavano tra i giovani! Ne esistevano di diversi tipi, da quelle dedicate alla musica (rockzine, punkzine…) alle varie sottoculture come le darkzine e le modzine e ovviamente a quelle dedicate al mondo dei fumetti,  le comiczine. Si tratta di riviste amatoriali realizzate con scarsi mezzi tecnologici (in maggioranza ciclostilate) a basse tirature (da poche decine di copie fino a massimo alcune centinaia) da grandi  appassionati del media fumetto.
Chiaramente verso la fine anni ’90, grazie all’esponenziale successo e quindi diffusione di internet, le fanzine su carta hanno lasciato sempre di più il passo alle webzine, più facili da produrre, a costo zero per quanto riguarda la stampa e soprattutto con una diffusione potenzialmente quasi infinita.

Tra le varie fanzine dedicate al fumetto porto oggi all’attenzione “Popular Press” a cura di Alessandro Pollazzon (di Belluno), il cui primo numero, datato Dicembre 1984, fu interamente dedicato al nostro Ken Parker!!


Il numero in questione contiene diversi interessanti articoli come “Analisi di un personaggio vagabondo della vita e protagonista dell’avventura” , “Ken Parker: la storia” ,“La vicenda editoriale” e ancora alcune schede dedicate agli autori (sceneggiatori e disegnatori), “I volti di Ken Parker” con una breve analisi degli stili adottati dai vari disegnatori nella realizzazione delle storie, e altro ancora...




In particolare, però, trovo molto interessante un’intervista agli autori Berardi & Milazzo realizzata dal curatore della fanzine che intendo proporre in questo blog in due parti: la prima parte è dedicata a Giancarlo Berardi, la seconda sarà dedicata ad Ivo Milazzo. Ricordo inoltre che siamo nel 1984 quindi alla fine dell’edizione Cepim 1/59 e agli inizi dell’avventura Orient Express, nel pieno del successo kenparkeriano.


Parte prima: GIANCARLO BERARDI.
Domanda: Chi è Ken Parker? Qualcuno l’ha definito la risposta degli anni ’70 a Tex.
Risposta: “E’ un personaggio della metà dell’ottocento. E’ soprattutto l’esigenza di due autori, nati e cresciuti in una certa epoca, di esprimersi con il mezzo fumetto.
Non so chi l’abbia definito la risposta degli anni ’70 a Tex; ad ogni modo non voleva rispondere a niente e a nessuno, se non – come dicevo – a queste nostre esigenze. Sicuramente sia Tex che KP si sono anche adeguati alle loro rispettive epoche.”

D: Come nasce KP? Cosa lo influenza? Cosa lo ispira?
R: “Nasce per caso. Viene influenzato da tutta la cultura precedente, fumettistica e non; e qui bisognerebbe fare un lunghissimo elenco, mi riferisco soprattutto alle mie letture, per quanto riguarda il testo, il soggetto e la sceneggiatura, mi riferisco al grande panorama cinematografico, che fa parte dei miei interessi. Tutto questo lo influenza e lo ispira.
Bisogna aggiungere naturalmente quella sensibilità personale attraverso la quale le conoscenze e la cultura vengono filtrate.”

D: Come costruisce le sue storie?
R: “Non ho un metodo preciso, anzi rifuggo dai metodi perché secondo me sono deleteri e tendono a fossilizzare le capacità creative di un autore. Talvolta parto da un buon inizio, talvolta da un finale che ho ben preciso in mente; altre volte da qualche fatto nel centro della storia, altre volte ancora solo da un’atmosfera, una specie di musichetta. A questo adatto poi personaggi e fatti.”

D: Ferruccio Gironimi, introducendo “Cuccioli”, focalizza un KP missionario, un uomo che crede di poter fare qualcosa per cambiare la storia. Mi pare che invece non abbia questa pretesa, o sbaglio?
R: “Si, effettivamente non ha questa pretesa, troppo grande e fuori dalla sua sfera. Kp si sforza di essere il più possibile un uomo comune, un uomo dei nostri tempi, e come ben sappiamo nessun uomo dei nostri tempi, anche il più potente, a meno che non sia un pazzo, può cambiare la storia.
L’unica pretesa che ha KP è quella di essere coerente con le idee, le sue idee, con il suo bagaglio di uomo, con i suoi valori, che piano piano ha riscoperto, dato che nella società in cui viveva, e anche in quella in cui viviamo noi, di valori ce ne sono ben pochi. C’è cosi questa necessità di crearsene di propri, e soprattutto di vivere coerentemente con essi.”

D: KP è stato cacciatore, scout, sceriffo, agente investigativo, operaio, attore; un preciso carattere del personaggio quello di identificarsi con ogni mestiere e nel contempo con nessuno, oppure la volontà da parte sua di evitare ogni clichè cambiando continuamente i luoghi e le situazioni?
R: “Dunque, KP è stato tutto questo sicuramente, ma non è che sia un preciso carattere. Lo è invece quello di lavorare per vivere; cioè lui non ha miniere d’oro o altre entrate sconosciute come molti personaggi del panorama fumettistico. Come dicevo prima, io tendo il più possibile a farne un personaggio reale e come tale ha bisogno di lavorare per sopravvivere. Certo c’è anche da parte mia un tentativo, e mi sembra anche piuttosto evidente, di evitare i clichè, non tanto cambiando i luoghi e le situazioni, ma soprattutto cambiando i personaggi che fanno da contorno a KP e che molto spesso assurgono al ruolo di veri protagonisti.”

D: L’utilizzo di attori conosciutissimi o di mostri sacri del mystery nelle sue storie sono un omaggio a queste forme di comunicazione popolare od uno studio calcolato atto a proporre al lettore il suo stesso immaginario collettivo utilizzando molteplici archetipi?
R: “Vediamo...sicuramente c’è un omaggio alle altre forme espresse dai mass-media, anche perché il fumetto è un mass-media per eccellenza, e secondo me queste varie forme sono interagenti, si sono –almeno nel passato- influenzate tra loro, quindi mi pare anche molto interessante rimetterne insieme, alle volte, i motivi più eclatanti. Che sia uno studio calcolato direi di no, sarebbe un’operazione un po’ furbetta, che tutto sommato non m’interessa. E’ un fatto che molti lettori hanno lo stesso immaginario, mio e di Milazzo, in quanto hanno avuto la stessa cultura, le stesse esperienze, e quindi si riconoscono in un certo discorso.
Qualche volta c’è una strizzatina d’occhio a questo tipo di lettore.”

D: Come riesce a conciliare John Ford con Age & Scarpelli , Hemingway con Shakespeare, Hammet con Peckinpah?
R: “Direi che non c’è problema nel farlo, anche perché molti di questi già si sono influenzati a vicenda, a partire da Shakespeare a venire in giù naturalmente. Noi siamo effettivamente i figli di queste forme espressive culturali, quindi non vedo proprio quale sia la difficoltà.”

D: KP è per sua stessa ammissione un fumetto popolare; in questo mi trova completamente d’accordo, tuttavia, pur comprendendo pienamente i motivi che l’hanno portato su Orient Express, temo che KP, proprio per il pubblico a cui le riviste in genere si rivolgono, perda l’accezione di popolare. Rimanendo cioè le nuove storie in sintonia con quelle già pubblicate, la diversa collocazione di esse restringerebbe notevolmente il numero di lettori a cui originariamente erano dirette. E’ d’accordo?
R: “Che KP sia un fumetto popolare è attestato da due fatti: il primo, che per moltissimo tempo è stato venduto ad un prezzo cosiddetto popolare. Il secondo è che il pubblico ha dato un grande riscontro a questo prodotto, tanto che gli ultimi numeri della vecchia serie sono andati addirittura esauriti completamente. Il timore che KP diventi qualcos’altro, vale a dire che perda parte di quell’alone popolare, è anche un timore che è stato per molto tempo mio, ho riflettuto a lungo su questa possibilità; sono però venuto alla conclusione che era più importante a questo punto la sopravvivenza del personaggio, piuttosto che lasciarlo popolare e dequalificarlo, dequalificarlo proprio in senso stretto perché il motivo principale che ci ha indotto a chiudere la vecchia serie era proprio la qualità. Ormai era molto difficile mantenersi su certi livelli quantitativi, neanche a parlarne ad esempio di esperimenti che tendevano a migliorare la serie, e quindi ancora una volta abbiamo fatto la scelta della qualità a scapito della quantità. Noi siamo convinti che il lettore si abitui, magari col tempo, e rimanga soddisfatto di due storie, ben costruite e ben realizzate, all’anno, piuttosto che sette o otto un po’ raffazzonate.”

D: Panebarco, in merito alla dibattuta questione della crisi del fumetto, disse che una delle cause di questa era l’uso di uno stile cinematografico nelle storie, in quanto l’ipotetico acquirente, dovendo scegliere tra cinema e fumetto, opta per il primo grazie ai maggiori mezzi (movimento e suoni) di cui esso dispone rispetto alla carta stampata. Cosa ne pensa?
R: “Innanzi tutto penso che Panebarco abbia diritto alle sue opinioni. Poi dirò anche che, secondo me, lo stesso Panebarco usa uno stile cinematografico nelle sue sceneggiature, che è anche la cosa più divertente. Quanto ai maggiori mezzi, non sono molto d’accordo: cinema e fumetti sono nati contemporaneamente alla fine dell’ottocento, e si sono all’inizio influenzati vicendevolmente; ora questa influenza negli ultimi anni è ripresa, un po’ perché c’è una grossa crisi di idee sia nel cinema che nei prodotti televisivi e quindi queste attingono laddove le idee sono ancora abbastanza valide e guarda caso si rivolgono proprio ai fumetti.
C’è proprio un boom, direi, sia in America che in Francia; c’è un boom del fumetto rivisitato dal cinema e dalla televisione. Poi, anche se manca del suono ci sono dei mezzi espressivi, io stesso ne utilizzo e ne sperimento alcuni in KP, che possono sopperire abbastanza bene a questa mancanza.
C’è ancora un altro motivo, che a mio avviso è vincente (per il fumetto), vale a dire che il fumetto è un oggetto, è un oggetto da capitalizzare, mentre il cinema non lo è. Da capitalizzare perché un libro, una storia a fumetti può essere ripresa in mano in qualsiasi momento e rigustata con lo stesso piacere della prima volta, o anche addirittura riuscendo a trovare nuovi motivi nella rilettura, motivi di interesse che magari erano sfuggiti la prima volta. Per esempio penso che KP sia abbastanza adatto a questo genere di operazione, perché è un prodotto inteso a vari livelli di lettura, che andrebbe sempre rivisto.
Ecco, quindi la mia opinione è che non ci sia assolutamente una questione di svantaggio; non solo, quando io ho iniziato a scrivere fumetti, notai la differenza tecnica tra cinema e fumetto: il cinema, grazie ai grossi capitali investiti e alla grande diffusione, aveva sviluppato una tecnica più agile del fumetto, alla fine degli anni ’60, primi anni ’70. Facendo un paragone con il cinema, quel tipo di fumetto praticamente era fermo agli anni ’30, con lunghe didascalie, con sceneggiature farraginose, molto ripetitive, molto lente. Io pensai che valeva la pena tentare di trovare nuovi moduli espressivi per il disegno; per quanto mi riguarda adottai in pieno la sceneggiatura cinematografica, naturalmente adattandola alle esigenze grafiche del fumetto. I risultati mi pare siano abbastanza consolanti, anche perché ho visto che altri hanno ripreso questo nuovo modo di scrivere fumetti, evidentemente piace non solo agli autori, ma anche ai lettori.”   

D: Antonio Faeti indica Ambrose Bierce come il remoto progenitore di KP. In che misura ciò è vero?
R: “In nessuna misura. Intanto perché quando iniziai a scrivere KP, Ambrose Bierce non l’avevo ancora letto, non lo conoscevo neppure, e poi anche perché lo spirito dei due personaggi è molto diverso: Bierce è caustico, pessimista, ma ha un pessimismo distruttivo, mentre KP lo definirei un realista idealista. 

D: Sempre Faeti (Orient Express n.20) dice che KP si legge come un mito, solenne e divertente, lieve e popolare, forte ed irato. E qui sta il punto, KP è ormai un mito?
R: “Io mi auguro tanto di no, perché i miti sono granitici, e quindi immutabili, la caratteristica principale di KP è invece la crescita, il mutamento, l’adeguamento con le esigenze dei tempi. E’ un personaggio che vive in una realtà politica, sociale, economica ben precisa, che è quella della fine dell’ottocento americano, ma che metaforicamente ci riporta alla nostra realtà, alla realtà dei nostri tempi, e più precisamente a quella italiana, a cui spesso faccio riferimento sotto mentite spoglie. Quindi lo sforzo più grande è proprio quello di tenere KP alla stregua coi tempi, che per dire la verità non mi costa nemmeno tanta fatica, poiché cresce insieme a me, è nato diciamo sotto la spinta degli entusiasmi sessantottini e piano piano è maturato, un po’ come è successo a me, quindi con molte disillusioni, con molto ideali andati a male, ma ancora con una base di coerenza che cerchiamo di mantenere più intatta possibile.”

D: Ultima domanda. Il futuro cosa riserva a KP?
R: “Ho diverse storie, diversi piani in mente, ma direi che il dato più importante è quello che KP diventerà sempre più una storia diciamo senza tempo, una storia di personaggio piuttosto che di ambiente. Anche se è una contraddizione in termini, perché in realtà le storie di KP sono fatte di atmosfere più che di personaggio.
Quello che intendevo dire è che si staccherà dall’ambiente western, e diventerà semplicemente la storia di un personaggio che potrà anche viaggiare oltre che negli Stati Uniti anche al di fuori di questa realtà ottocentesca, e proprio nei pressi ci sono altre storie, altri personaggi, altre culture, altre atmosfere affascinanti che mi intrigano e di cui non voglio perdere l’occasione di parlarne.”

Fine prima parte.
Per leggere la seconda parte (intervista a Milazzo) qui 

2 commenti:

  1. Caspita, la risposta all'ultima domanda è in sintesi quello che Giancarlo stesso ha espresso, se tutto andrà a buon fine, per il proseguo di "Canto di Natale", in mezzo però ci sono praticamente 30 anni con tutte le vicissitudini nel bene o nel male accadute, questa si chiama COERENZA! Cioè rispettare, nonostante tutto questo tempo trascorso, le intenzioni di base sul futuro del proprio personaggio. Comunque tutta l'intervista è un documento molto interessante, grazie per averlo postato e complimenti per il blog su questo prezioso compagno di vita che risponde al nome di KEN PARKER!

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  2. Ciao Daniele, piacere di conoscerti.
    Hai ragione da vendere per quanto riguarda l'onestà intellettuale, la coerenza degli autori di Ken. E forse noi ammiriamo e amiamo KP un pò anche per questo, per la convinzione dei propri ideali.
    Sono contento che anche tu abbia trovato interessante l'intervista a Berardi contenuta nella fanzine e ti ringrazio. A breve, appena mi sarà possibile, seguirà pure la parte d'intervista riguardante Ivo Milazzo.

    Un saluto.

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